Il mito della ricerca

Publié le par Marie St Clair

Dio non è un'invenzione… è un mito… la mitologia è la schiuma della minestra che bolle nel vaso delle streghe. Due mille anni fa, la rottura annunciata dal grido: “Il grande Pan è morto„, ha permesso una proiezione prodigiosa della nostra conoscenza, della nostra cultura, della nostra spiritualità. Ed ecco che due mille anni dopo questo primo avviso, emerge la seconda: “Dio è morto” tutti i sistemi, tutte le ideologie, tutte le rappresentazioni, si costruiscono soltanto con gli avanzi dei Dei persi. Ed ogni religione è forse soltanto un pezzo dello specchio rotto di Afrodite…

I miti sono resoconti i cui personaggi sono esseri sovrumani. In greco, Mythos designa un resoconto pittoresco, che si oppone al Logos, “il verbo„, che è un resoconto ragionato. Il mito è dunque la menzogna che contiene del senso. Deve essere oggetto di studio sotto la rosa e bussola a disposizione. Ci occorre dunque, se vogliamo diventare liberi, scegliere di diventare mythologi se non vogliamo rimanere mitomani.

Perché si crede ai miti? Probabilmente per tre ragioni essenziali. Inizialmente, perché se sono assurdi sul piano razionale, i miti dissimulano sotto il velo di racconti fantastici delle verità profonde. In seguito perché non è raro che i miti si fondano su un evento storico reale, deformato dall'immaginazione popolare. Infine, perché non ci lasciano ignorare più oggi, che ciò di cui è questione nei miti, è principalmente della nostra epoca prima di qualsiasi altra.

Allora, come abbordare un approccio dei miti con uno sguardo risolutamente girato verso il futuro? … Forse chiedendosi perché è impossibile evitare di riflettere il suo ritratto nello specchio che è per definizione un mito. Poiché non esiste alcun lettore serio che  abbia trovato in un mito, altra cosa che la sua immagine. Ecco allora il mito nel cuore del vero stupore filosofico, al capitolo degli specchi. E la trappola nella quale il mito prende ogni lettore, è che non ci permette di sfuggire all'autoritratto, almeno dopo aver tentato di gettare uno sguardo verso lo specchio che li osserva.

Poiché in effetti, la vera questione è  di sapere come è montato un mito sotto forma di specchio. E si proverà dunque ad osservare come lo specchio è costruito come luogo speculare delle metamorfosi del nostro Sè simbolico, senza mai dimenticare che il mito si esprime soltanto in lingua simbolica e che l'ideale ultimo, a causa della difficoltà della sua realizzazione, resta sempre lontano ed indicativo.

La ricerca è una nozione funzionale fondamentale nel racconto popolare e, nel mito, la ricerca è compiuta dall'eroe, in attesa di riempire la mancanza caratteristica della situazione iniziale. Altri resoconti sono, di una fine all'altra, Ricerche ,sotto forme molto variabili (guerra, prosecuzione, viaggio, meditazione) in previsione di obiettivi più diversi: Vello d'oro - per gli Argonauti-, la sposa, all'inizio della leggenda di Tristano e Isotta,  il segreto - nel romanzo poliziesco, ma anche la ricerca dell'assoluto - di Balzac, o la ricerca del tempo perduto - di Proust.

La letteratura medioevale offre un esempio particolarmente sorprendente di ricerca, nel ciclo romantico immenso dedicato alla ricerca della Graal legata, fin da Cristiano de Troyes, alla materia arturienna. La curiosità del lettore è incessantemente deviata dalla storia (si sa perfettamente in anticipo come tutto finisce) verso un senso che non è mai dato in totalità, eccetto a Galaad - che muore nell'estasi del segreto rivelato.

Giasone il capo della spedizione del vello d'oro, fu il primo eroe che, in Europa, intraprese un lungo viaggio. La portata generale, confermata da tutti i dettagli della storia favolosa, si trova già espressa dal significato del nome degli eroi riuniti: Argonauti: tutti navigatori, imbarcati a bordo dello Argo, che significa il vaso bianco. Essendo il bianco simbolo di purezza, Argo dovrebbe condurrli verso la purificazione. La natura della spedizione si trova ancora più chiaramente designata dal suo scopo: la conquista del vello d'oro.

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Il colore Oro è rappresentativo della spiritualisazione, mentre il vello, l'ariete, è simbolo di sublimazione. Il vello d'oro da conquistare segnala dunque che lo scopo simbolico dell'impresa è la conquista della forza dello spirito e della purezza. Il vello d'oro è sospeso ad un albero, simbolo di vita, e conservato da un drago, simbolo di perversione. L'eroe deve “uccidere il drago„ per poter afferrare il tesoro sublime.

Ma  può anche darsi che l'eroe  afferri il tesoro sotto il suo significato perverso. Tale è il senso generale che può liberarsi dal tema intorno al quale sono concentrate tutte le immagini del mito. Occorre tuttavia osservare che per Giasone, che si trova alla testa della spedizione, la conquista del vello d'oro è soltanto una condizione da soddisfare per poter accedere al trono reale di suo padre. Ed il dilemma essenziale sotteso dal mito del vello d'oro è  di sapere in quale stato d'animo l'eroe eserciterà il potere, quando lo avrà acquisito.

Se trova il significato sublime del tesoro (se sa dominare la passione del potere), il suo regno sarà giusto. Ma se non trova soltanto il significato perverso del tesoro, (se aspira al potere soltanto per il potere), il suo regno sarà quello di un tiranno. Così, del successo o della sconfitta dell'eroe, dipende la sorte del paese che governerà, e questo paese è una rappresentazione simbolica del mondo intero. È dunque la sorte dell'umanità che dipende da questo successo o da questa sconfitta.

Giasone non tenta l'avventura  da solo, cosa che è allo stesso tempo abbastanza eccezionale e molto significativa. Argo conduce i navigatori verso Colchos, il paese del vello d'oro. Navigano sul mare, simbolo di vita, di cui devono tuttavia affrontare i pericoli. E dopo aver superato molte difficoltà ed avere evitato tutti gli scogli, Argo accosta infine a Colchos ma, presagio disastroso, una parte del timone è stata portata via. Il re de Colchos esige, per rimettere il vello d'oro a Giasone, che riesca a sottomettere due tori selvaggi che nessuno ha mai potuto domare e che ari in seguito un campo che dovrà seminare con i denti di un drago.

Ma Giasone, poco affidando nelle sue forze, si lega con Médéa, la figlia del re, che è maga, cosa che è in realtà soltanto un calcolo volgarmente utilitario, per superare senza rischi le prove imposte dal re. E Giasone non uccide in combattimento eroico il drago che conserva il vello d'oro. Eroe difettoso, lo ammortizza utilizzando un filtro preparato da Médéa e riesce così a salvarsi celando il trofeo prezioso.

Le immagini della fine del mito appaiono la punizione di Giasone. Il simbolismo dei lavori evitati ha servito a mostrare l'atteggiamento perverso che caratterizzerà il regno di Giasone. Dopo essersi servito di Médée, la abbandona e questa diventa allora lo strumento inevitabile della sua punizione, uccidendo, delle sue mani, i bambini della loro unione. Giasone stanco di trascinare la sua disperazione attraverso il mondo, viene un giorno riposarsi all'ombra Argo. Ma è schiacciato da una trave che cade dal relitto della nave che avrebbe dovuto condurlo fino al suo ideale.

Così, Giasone ha voluto riposarsi all'ombra della sua gloria, credendo che basterebbe a giustificare la sua vita intera o permetterle di dimenticare le pene vissute ed il vascello, simbolo della speranza eroica della sua gioventù, diventa allora quello della rovina finale della sua vita. È in ciò che si può considerare il mito del vello d'oro come tipico della Ricerca mancata.

“Qui, tutto è simbolo„. Questa dichiarazione ripetuta nel corso della cerimonia di ricezione al primo grado è carica di senso, perché annuncia il valore del passo e quella del programma: la ricerca del senso oltre all'aspetto. Dopo il suo apprendistato ed il suo compagnonnage, il Massone medita sulla passione di Hiram.

Apprende allora che i Maestri dispongono per riconoscersi di una parola sostituita, di cui portano le iniziali sul loro grembiule e sanno dunque la parola d'origine scomparsa. Più tardi, comprenderà lo scopo del passo: la ricerca della parola persa. La parola è persa per quelli che credono di avere tutto visto, tutto detto… E che dicono “che non c'è nulla da vedere„.

La parola è effettivamente persa quando non si è più in grado di produrre una parola nuova a proposito dei simboli. Coloro che credono di avere esaurito il senso, in realtà, hanno probabilmente raggiunto i limiti dei loro mezzi. Poiché il simbolo è la lingua del senso. Ed il senso è ciò che genera significati. Occorre andare dal senso al significato. Così, la parola persa è sempre da trovare e la sua ricerca esige una riduzione in questione permanente e penosa di tutte le certezze acquisite anteriormente…

Tutte le tradizioni fanno allusione ad un bene perso o scomparso. Paradiso o parola, indipendentemente dal bene, è sempre portatore della stessa rete di significati. Fornito dal vocabolo sostituito e  desiderando trovare La Parola, il muratore principale esplora i paesaggi proposti dai riti. Ma il viaggio iniziatico è compiuto soltanto da quello che non si accontenta della parola sostituita. Quello chiede l'essenziale…

Ancora occorre che conserva il suo spirito critico e che conserva un certo umorismo, per non diventare devoti beati che attendono una rivelazione da parte dei suoi Maestri. Così, in partenza, fin dall'inizio del viaggio, deve sapere che la parola trovata non potrà “dirsi„. Sarà mostrata, uscita da una scatola, sotto l'egida della rosa, sotto forma di iniziali, che sono il simbolo della PAROLA e non la PAROLA stessa, infine decriptata.

Molti anni dopo la sua ricezione, l'iniziato si ricorderà sempre del minuto in cui, uscendo dalla notte, ha avuto la visione del tempio ricevendo la Luce. Capirà mentre l'iniziazione esiste soltanto con l'attenzione che porta al suo segreto e che il segreto vero è inaccessibile con un approccio individuale strettamente intellettuale. Il vero senso del segreto è legato ad una ricerca della verità fondata su uno vissuto personale che non può né essere trasmesso, né pubblicato.

È per questo che, coloro che rifiutano di fornire gli elementi suscettibili di illuminare la percezione intellettuale del fenomeno iniziatico hanno certamente molto meno il senso del segreto che un certo  gusto per la dissimulazione.

Conoscere, non è affatto dimostrare né spiegare. È accedere alla visione. Ma per vedere, occorre inizialmente partecipare… ciò è un apprendistato duro. È per questo che si cercano sempre “uomini - e donne - di buona volontà„.

Poiché nell'opinione della Massoneria Iniziatica, c’è questo rischio pazzo, preso certamente senza che ciascuno ne misuri bene la portata: creare, costruire una religione senza chiesa, vivere una fraternità fondata sulle grandi verità umane, creare una Comunità che non riposI più sulla lotta per il potere, sull'impresa dominatrice, sulla volontà di prevalere, ma sulla gioia di Essere e l'esaltazione delle modalità generose dell’Essere.

Chi ha misurato la forza di liberazione di questa rivoluzione metafisica? Essere un santo senza dio, diceva Albert Camus… Esiste  una sfida più temibile, più liberatora e più esigente allo stesso tempo?

http://www.troispoints.info/5-categorie-10474411.html

Publié dans La Tradizione

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